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APPUNTI E DISAPPUNTI

Non ho scritto niente sulla situazione politica italiana perché non ho notizie precise al di fuori di quelle di stampa e non ho la presunzione di capire più di quanto esternino gli esperti di politica che scrivono su tutti i giornali, anche se, spesso, mi sembra che non capiscano bene come funziona la politica. Dopo le elezioni regionali nel Molise, di domenica scorsa, ed in vista di quelle del Friuli di domenica prossima vorrei fare alcune considerazioni sul Partito Democratico che, mi pare, destinato ad una veloce estinzione. Io sono stato iscritto al Partito Socialista (finché è esistito con percentuali di voto non da prefisso telefonico) e, per questo, sono un esperto di sconfitte elettorali e di estinzioni veloci di Partiti tradizionali. Nelle dinamiche elettorali attuali vedo i tratti inequivocabili di una involuzione senza speranza. Anche il PSI, nelle elezioni del 1976, Segretario Francesco De Martino, raggiunge il suo minimo storico toccando il 9,64%, con 56 deputati alla Camera dei deputati. Dopo quella sconfitta, nel PSI fu effettuata una rivoluzione culturale profonda che rottamò l’armamentario ideologico della vecchia nomenclatura socialista dei De Martino, Lombardi, ecc. e portò alla Segreteria Bettino Craxi, il quale cambiò la storia del PSI, dominandolo per 16 anni, fino all’estinzione dei Partiti tradizionale dopo le elezioni del 1994 e l’avvento della seconda repubblica. Il Partito Democratico anziché dividersi fra quelli che vogliono appoggiare un governo presieduto da Di Maio e quelli che vogliono restare all’opposizione, aspettando sulla riva del fiume la salma del nemico, dovrebbe cercare di operare un’ analisi della sconfitta che parta dal fatto che dal 2008, anno in cui nelle elezioni politiche si presentò per la prima volta il PD, con Segretario Veltroni e realizzò il 33,18%, alle elezioni del 4 marzo scorso il PD ha perso un po’ meno di 15 punti percentuali, quasi esattamente divisi fra le due consultazione del 2013 e del 2018. Ho sentito l’analisi di Bersani (che io in tempi non sospetti definii lo Zeman della politica, perché gli piace il cosiddetto bel gioco e non il risultato) il quale straparla di voti persi a sinistra, mentre il PD ha perso, sostanzialmente, i voti della Margherita. Infatti se avesse perso i voti della sinistra, li avrebbero presi Liberi e Uguali, mentre “i ragazzi della via PAL” hanno preso i voti residuali di Vendola e di qualche estimatore della Boldrini.
In definitiva penso che il PD, deve guardarsi bene di partecipare al prossimo governo. Se proprio vuole dare prova di essere un Partito responsabile, il PD può concordare un appoggio esterno sia ad un Governo del Movimento “5 stelle”, sia ad un Governo cosiddetto “del Presidente”. Però al suo interno deve fare una profonda riflessione di quale Partito vuole essere, smettendo di essere una “Ditta” costruita su due formazioni politiche (di ascendenze democristiane e comuniste) che hanno perso la loro anima e sono tenute assieme solo dalla gestione del potere a livello nazionale e locale. Questo presuppone un cambiamento profondo del gruppo dirigente che deve essere rinnovato elaborando un progetto culturale di nuova società che rifugga dalle parole d’ordine del secolo scorso, ma tenga conto delle esigenze e dei bisogni che sorgono nella società multietnica e globalizzata. Progetto che va realizzato partendo dai giovani e da una capacità di ascolto della società, aprendo le sedi del Partito al dibattito e arricchendo la cultura politica dei loro rappresentanti, nelle varie istituzioni, con il confronto e la discussione continua con i portatori delle istanze sociali. Per fare questo, ci vuole, inoltre, una grande capacità di comunicazione, che è mancata in questi ultimi anni. Infatti, i Governi Renzi e Gentiloni sono stati quelli che più hanno fatto (rispetto ai dieci anni di Berlusconi e Monti) per il lavoro, per le aziende e per il contenimento della immigrazione, ma non hanno saputo comunicare la visione di un progetto complessivo. Anche perché l’azione di governo è stata subordinata alla corresponsione di bonus e mance che hanno assorbito risorse che, se fossero state spese nel quadro di un disegno complessivo, avrebbero potuto avere ben altro impatto. Inoltre, a proposito di comunicazione, dopo quasi dieci anni dall’inizio della crisi economica più grave del dopoguerra, lo slogan di “una forza tranquilla di governo” era quanto mai inadeguato. Ripeto perciò che, a mio giudizio, occorre una rivoluzione profonda con nuovi dirigenti (soprattutto non provenienti dalla DC e dal PCI-PDS-DS), cambiando, inoltre, il nome del Partito poiché PD ricorda troppo le origini post-comuniste. E poi scegliendo i dirigenti con primarie vere, come quelle dell’Ulivo del 2006, dove c’era la coda per andare a votare. E, per sicurezza, assicurandosi che i nuovi dirigenti siano tutti orfani di entrambi i genitori !!!

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