Please assign a menu to the primary menu location under menu

Archivi

ATTUALITÀ

Caso Amazon: braccialetti e produttività del lavoro

Nell’estate del 1994, quasi venticinque anni fa, nel garage di casa sua a Washington, Jeff Bezos, un informatico, fondò una delle prime librerie online chiamandola Cadabra.com.

Nel luglio 2017 Bezos viene dichiarato, dalla rivista Forbes, l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di circa 99 miliardi di dollari, il tutto grazie all’intuizione di molti anni prima.

Cadabra.com ha cambiato nome velocemente, diventando Amazon, ma non perdendo un certo tocco magico: da libreria è diventata la sede, per antonomasia, dello shopping online; dai libri ai cd e dvd il passo è stato breve e da li, le porte del commercio mondiale si sono spalancate una dopo l’altra, settore dopo settore fino ad arrivare ad oggi con Amazon leader indiscusso, almeno a livello di immaginario collettivo, delle vendite online di qualsiasi genere.

L’azienda ha allargato sempre di più i suoi campi d’interesse e di intervento, arrivando a lanciarsi nel mondo della produzione cinematografica, in particolare all’interno dell’agguerrito mondo delle serie televisive senza scartare l’ipotesi di farsi produttrice essa stessa di tali prodotti.

L’ascesa inarrestabile di questo colosso si è fondata principalmente sulla convenienza: la competitività, sia dei prezzi sia dei prodotti sia delle spedizioni, è stato il motore fondamentale per la crescita dell’azienda che ha saputo innovarsi e rinnovarsi, promuovendo anche la produzione di prodotti propri, per esempio il Kindle.

Nel 2016 Amazon depositò un brevetto di un braccialetto che sarebbe stato, secondo i progettatori, in grado di ottimizzare la produttività dei lavoratori, lasciando però inquietanti dubbi e sulla sostenibilità sociale dello strumento e sulla possibilità, in realtà tutt’altro che remota che, tramite tale strumento si possano controllare i lavoratori stessi. Se al tempo la notizia era passata in secondo piano è balzata agli onori delle cronache solo negli ultimi giorni perché il brevetto è stato riconosciuto come valido.

Nonostante non vi siano, almeno per il momento, riscontri sulla volontà da parte di Amazon di produrre realmente tale braccialetto e non sia possibile, dal punto di vista legale, applicare il suo uso in Italia, la notizia ha creato molto clamore che può sembrare ingiustificato solo se si guarda limitatamente alla vicenda, senza guardare complessivamente al rapporto tra Amazon e le persone che vi lavorano.

Se l’ascesa di Amazon è sembrata a tutti veloce ma soprattutto inarrestabile, se Amazon è stata un’azienda capace di innovarsi, di entrare e diventare egemone in diversi ambiti la sua storia non è priva di ombre, che anzi emergono sempre più scure e profonde quando si va a scavare nell’universo lavorativo che vi è dietro Amazon.

Dietro lo schermo, che costituisce la forma principale dei nostri rapporti con Amazon, non vi sono automi che lavorano giorno e notte, senza conoscere fatica o necessità sociali solo per fornirci un prodotto di qualità, rapido ed economico, ma vi sono persone in carne ed ossa, migliaia di persone in carne ed ossa che lavorano incessantemente per fare di Amazon quello che è.

Solo nel centro di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, lavorano tra le duemila e le quattromila persone, a seconda dei periodi, sfornando circa 400 mila pacchi al giorno da consegnare spesso entro le 24 ore.

I turni di lavoro sono massacranti, con decine di chilometri da percorrere a piedi all’interno dei capannoni, un lavoro alienante che richiama, a detta degli stessi lavoratori e sindacati, le catene di montaggio degli ani Cinquanta per uno stipendio tutt’altro che invidiabile.

Inoltre va aggiunta la componente dello stress e della pressione esercitata dai capireparto sui lavoratori, che rischiano di venire ostacolati se troppo lenti a compiere un lavoro, se non abbastanza produttivi e via discorrendo; le condizioni di salute dei lavoratori non ne beneficiano di certo e le condizioni di lavoro paiono sempre più disumane, in Italia, ma non solo2. Le inchieste giornalistiche a proposito si sprecano e negli ultimi tempi, come testimoniato dagli scioperi a Novembre, i sindacati sono riusciti ad entrare nelle sedi e a sedersi al tavolo con le parti amministrative.

Si possono leggere, ovunque su internet e non, testimoniante, racconti dossier, inchieste a proposito delle condizioni di lavoro in Amazon e sarebbe riduttivo liquidarle in poche parole, però è importante sottolineare come sembrino, a tutti gli effetti inaccettabili.

Alla luce del passato, e del presente, rapporto con i lavoratori i toni allarmistici di politici e media italiani sulla questione paiono più giustificati e giustificabile è guardare con particolare attenzione le dinamiche ed i rapporti con i lavoratori in quell’azienda, almeno fin dove è possibile.

In conclusione, è sotto gli occhi di tutti di come Amazon sia in grado di offrire un rapporto di qualità in tempi sempre più limitati, l’efficienza è uno dei suoi punti forti ma è bene ricordare che siamo nel 2018, ed è inaccettabile fermarsi a questi parametri per valutare i nostri acquisti, con la facilità contemporanea del reperire informazioni è un obbligo, per tutti, non solo valutare l’efficienza e la qualità del prodotto ma anche e soprattutto valutarne la sostenibilità, naturale e sociale.

Su Amazon l’ultimo punto sembra venire a mancare clamorosamente, anzi alla luce degli ultimi avvenimenti penso sia comprensibile dichiarare come sia, a tutti gli effetti, un’azienda socialmente insostenibile, che guadagna sulla pelle e sulla salute dei lavoratori. Sicuramente non di tutti i lavoratori che vi sono al suo interno, ma non possono essere ignorate le voci che provengono dall’interno degli sterminati capannoni che l’azienda ha in tutto il mondo.

Rispondi