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Scomparso Paul Bocuse…leggenda vivente

È morto Paul Bocuse, una leggenda vivente, un nome che significava la grande cucina, inarrivabile, la degustazione della quale era ed è destinata a pochi competenti o ad un ceto esclusivo. Maestro indiscusso della cucina, emblema della gastronomia internazionale, si è spento, a 91 anni, nel paese di nascita ovvero Collonges-au-Mont-d’Or, presso Lione. L’alta cucina, poco tempo dopo la la scomparsa del nostro Gualtiero Marchesi, rimane priva di un altro dei suoi più sommi esponenti.

Il “papà della cucina”, “l’imperatore della gastronomia”, oppure semplicemente “Monsieur Paul”, con tali appellativim era noto lo chef con alle spalle oltre cinquant’anni di tre stelle Michelin – ha ricevuto il terzo “macarons” nel 1965 e non l’ha più mancato -. Legato indelebilmente alla sua regione, nonostante tutto, ovvero l’ Alvernia-Rodano, dove sempre visse, è stato ricordato dal Ministro degli interni francese Gérard Collomb, ex sindaco di Lione, con parole sentite:  “Monsieur Paul – ha detto il ministro – era la Francia. Semplicità e generosità, eccellenza e arte nel vivere. Possano i nostri chef, a Lione come in ogni angolo del mondo, coltivare a lungo i frutti della sua passione”.

Figlio e nipote di cuochi, già da bambino fa pratica, nella cucina dei suoi genitori George e Irma, all’Auberge du Pont de Collonges- tutt’ora centro del reame gastronomico da lui fondato – e l’attrazione infantile, come per tutti i bambini prodigio, evolve in talento geniale. La prima occasione al di fuori della cucina familiare gli si presenta a vent’anni,  quando viene assunto dala cuoca  Eugenie Brazier, mère Brazier, a Lione, vestale della gastronomia francese.  Dopo  è la volta di Fernand Point, del ristorante La Pyramide. Il suo pigmalione, da cui – come Bocuse stesso ha dichiarato più volte – ha imparato moltissimo; il rigore, l’importanza dei gesti in cucina, l’attenzione ai dettagli più piccoli.

Poi il ritorno all’ “Auberge” familiare, e, nel decennio tra il 1955 e il 1965, diventa la sua  stessa leggenda. La prima stella Michelin gli giunge nel 1958, la terza circa sette anni dopo. E’ in questo periodo più che fortunato che un giorno, per caso, Henri Gault et Christian Millau – teorici e fondatori della Nouvelle Cuisine – lo incontrano, e rimangono folgorati. Loro stessi, in alcune interviste raccontano di averlo incontrato per la prima volta quando si fregiava di due macarons, ma era in ascesa delle vette Michelin. Ogni cosa “che lui ci propose, dai suoi piatti più famosi alla più semplice insalata era grandiosa – avevano più volte attestato i due profeti della cucina “nouvelle” – nella sua estrema semplicità. La Nouvelle Cuisine esisteva già, e noi l’avevamo appena incontrata”.
Bocuse è stato l’apripista di molti grandi chef, della figura dello “chef” come anche da noi si è affermata; avevavo comunque basato la sua missione sull’insegnamento e sulla cultura gastronomica: quello che  ha cercato di trasmettere ai suoi allievi. All’istituto di Ecully, dove aveva fondato la sua scuola,  arrivano chef dalla Francia  e da altri paesi per imparare i fondamenti della cucina francese. Nel 1987, fondò il “Bocuse d’or” concorso internazionale  sulla falsariga dei grandi eventi sportivi e immaginando un grandioso spettacolo gastronomico con un ciclo di due anni e una grande finale dal respiro mondiale, dandogli come casa il Sirha, un salone dedicato ad arte e gastronomia, naturalmente a Lione. La “maratona” gastronomica avrebbe riunito 24 giovani chef da tutto il mondo, i più geniali della loro generazione, che avrebbero dovuto esibirsi ai fornelli per cinque ore e mezzo davanti ad un pubblico, con una giuria di chef esperti: in definitiva un’anticipazione di attuali manifestazioni! Il Bocuse d’Or comprende una sessantina di competizioni nazionale che si svolgono nell’arco dei due anni, appuntamenti che hanno il compito di selezionare gli chef che approderanno poi alla prova finale. A tale “progetto formazione” si è aggiunta nel 2004 la fondazione Paul Bocuse per i giovani talenti. Significativo il suo essere “uomo di mondo” e. al tempo stesso, personaggio radicalmente legato al suo “territorio”, non per niente il suo motto così suonava: “il coraggio era la fedeltà. Fedeltà al gusto, ai sapori veri, alla buona cucina, agli amici veri. A sè stessi”

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