CANNABIS MEDICA

La nuova frontiera del dolore

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui la parola cannabis evocava scenari proibiti, retaggi culturali, pregiudizi e paure. Per decenni, il suo utilizzo è stato confinato ai margini della medicina ufficiale, relegato a una dimensione di sospetto più che di cura. Eppure, prima ancora che l’Occidente ne decretasse il bando, la cannabis era una pianta sacra per molte culture: veniva utilizzata nei rituali spirituali, nella medicina tradizionale, come analgesico, antinfiammatorio, rilassante muscolare. I testi dell’antica Cina, dell’India vedica, e persino le farmacopee ottocentesche europee, ne riportano l’uso terapeutico in una molteplicità di condizioni.

Oggi, a distanza di secoli, assistiamo a una rivoluzione silenziosa ma poderosa: la riabilitazione della cannabis in ambito medico e scientifico. Grazie alla ricerca clinica, alla sperimentazione controllata e alla sempre maggiore apertura normativa in molti paesi, la cannabis terapeutica sta emergendo come risorsa concreta nel trattamento del dolore cronico, delle patologie neurodegenerative, dei disturbi ansiosi e gastrointestinali, fino ad arrivare a essere un’opzione preziosa nei percorsi palliativi. Ma la rivoluzione non si ferma qui: nuove frontiere si aprono anche per il mondo animale, dove si cominciano a esplorare gli effetti benefici dei cannabinoidi nella cura di cani, gatti e cavalli affetti da dolori articolari, epilessia o ansia.

Nel cuore di questa trasformazione troviamo professionisti che non solo curano, ma studiano, sperimentano e divulgano. Tra questi, il Dott. Luca Ferrero, medico specializzato in anestesia e rianimazione e Terapista del Dolore, che è considerato uno dei massimi esperti italiani nell’utilizzo clinico della cannabis medica. Con una visione integrata che spazia dalla medicina convenzionale alla neuralterapia e alla gestione avanzata della GAE (Grande Autoemo-Infusione), il Dott. Luca Ferrero porta avanti una pratica che unisce rigore scientifico e umanità terapeutica, restituendo dignità e qualità di vita a pazienti spesso trascurati dalla medicina tradizionale.

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare non solo i meccanismi biologici dietro l’efficacia dei fitocannabinoidi, ma anche la sfida culturale e clinica che ogni giorno si gioca tra ambulatori, laboratori e aule legislative.

Dottor Luca Ferrero, ogni paziente è un caso a sé: qual è il suo approccio iniziale quando si trova davanti una persona affetta da dolore cronico o da una patologia complessa come la GAE?

L’approccio deve essere sempre multidimensionale. Il primo passo non è prescrivere, ma ascoltare: capire da quanto tempo il paziente soffre, quali terapie ha già provato, qual è la qualità della sua vita quotidiana. In situazioni complesse, è fondamentale analizzare nel dettaglio la storia clinica per poter costruire un percorso terapeutico realmente su misura. Quando indico la GAE, mi riferisco alla Grande Autoemo-Infusione con ozono, una metodica che utilizzo spesso in sinergia con altri strumenti terapeutici, tra cui la cannabis medica, nutraceutici, tecniche di neuromodulazione o la neuralterapia. L’ozonoterapia sistemica può modulare lo stress ossidativo, stimolare il sistema immunitario e migliorare il microcircolo. Ogni paziente ha una sua “firma biologica” e va trattato come individuo, non come patologia: personalizzare è la vera chiave della medicina efficace”.

Come avviene la scelta e il dosaggio della cannabis terapeutica? Esistono dei protocolli standardizzati o si tratta di un percorso più artigianale?

L’utilizzo della cannabis terapeutica non segue un protocollo rigido, perché non è un farmaco “monodose” come un antibiotico. Parliamo di fitocomplessi con decine di molecole attive, in cui la relazione tra THC, CBD e altri cannabinoidi minori ha un impatto terapeutico specifico. Io scelgo la varietà più adatta (FM1, Bedrocan, Pedanios, ecc.) in base al quadro clinico, alla tolleranza individuale e agli obiettivi terapeutici: ad esempio, per un paziente con dolore neuropatico notturno posso usare un estratto più ricco in THC la sera, mentre per il controllo dell’infiammazione intestinale uso CBD in formulazioni giornaliere. La titolazione è progressiva:“start low, go slow”è il mantra, per evitare effetti collaterali e trovare la dose efficace minima”.

Come si integra la cannabis medica con altre terapie complementari come la neuralterapia o la GAE (Grande Autoemo con ozono)?

Nel mio approccio clinico, la cannabis medica è uno degli strumenti, non l’unico. La vera efficacia nasce dalla sinergia tra più terapie personalizzate. La GAE, ovvero la Grande Autoemo-Infusione con ozono, è una procedura che applico con ottimi risultati nei pazienti con dolore muscoloscheletrico cronico o fibromialgia, perché l’ozono ha proprietà antinfiammatorie, immunomodulanti e migliora l’ossigenazione dei tessuti. In questi casi, associo spesso anche la neuralterapia, che agisce sul sistema neurovegetativo e permette di sbloccare aree di tensione e dolore cronico. Un esempio concreto: un uomo di 52 anni, ex sportivo, con dolore cronico alla spalla destra post-operatorio, refrattario a farmaci convenzionali. Dopo una valutazione completa, ho impostato un protocollo integrato con cannabis medica in formulazione oleosa, GAE settimanale per 6 sedute e alcune infiltrazioni di neuralterapia mirata. Dopo il primo mese, il paziente ha riferito una netta riduzione del dolore e un miglioramento della mobilità, con una diminuzione marcata dei FANS e un sonno finalmente ristoratore. Questo è l’obiettivo: non solo ridurre il dolore, ma restituire qualità di vita”.

Esistono pazienti per cui la cannabis medica ha cambiato radicalmente la qualità della vita? Ci racconta un esempio?

Assolutamente sì. Penso a una giovane donna affetta da endometriosi severa e GAE, che viveva da anni tra pronto soccorso, oppioidi e una qualità della vita devastata. Nessuna terapia era riuscita a stabilizzare il suo dolore pelvico e addominale. Dopo una valutazione completa, abbiamo iniziato con una titolazione graduale di cannabis terapeutica in olio ad alto CBD di giorno e THC la sera, in sinergia con neuralterapia. Nel giro di due mesi, ha potuto ridurre del 70% gli analgesici, ha ricominciato a dormire e a lavorare. Oggi è seguita regolarmente, vive una vita quasi normale e ha riacquisito autonomia. Questo non è un miracolo, è medicina di precisione applicata con metodo e attenzione”.

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