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ATTUALITÀ

Capitolo 2

sulle-punte

[mks_dropcap style=”rounded” size=”40″ bg_color=”#ff0000″ txt_color=”#FFFFFF”]S[/mks_dropcap]occhiusi gli occhi e me li strofinai con forza, sperando di levare con questo gesto la stanchezza che si era creata durante la notte. Erano appena le cinque del mattino ed io non avevo staccato gli occhi da quella stanza, da quel corpo disteso sul letto morbido.
Alexandra ed io eravamo separate solamente da una stupida parete trasparente, mi avvicinai al vetro e ne accarezzai i contorni, potevo sentire il freddo che proveniva dall’interno della camera. [mks_pullquote align=”right” width=”250″ size=”14″ bg_color=”#ff0000″ txt_color=”#ffffff”]Alexandra ed io eravamo separate solamente da una stupida parete trasparente, mi avvicinai al vetro e ne accarezzai i contorni, potevo sentire il freddo che proveniva dall’interno della camera. [/mks_pullquote]
Mi morsi il labbro, i medici non si erano pronunciati, almeno non con me. Non essendo una parente, non mi avevano detto una sola parola sulla sua condizione ed io ero rimasta lì in attesa che qualcuno arrivasse, che mi spiegasse il perché la mia amica si trovava in quello stato. Un crampo allo stomaco richiamò la mia attenzione, la risposta era dentro di me, ma allo stesso tempo rigettavo qualsiasi idea. Mi allontanai dal vetro e posai una mano sulla testa, tutto intorno a me cominciò a muoversi, feci un respiro profondo e mi sedetti sul primo seggiolino in metallo che trovai.

-Si sente bene signorina?- una mano calda mi asciugò il sudore dalla fronte, alzai lo sguardo, una donna sulla cinquantina era accucciata su di me e dal viso sembrava davvero preoccupata. Portava i capelli neri arruffati in tanti piccoli ricci morbidi e spessi occhiali rossi che le scivolavano sul naso.
Risposi un frettoloso “sì” mentre entrambe fummo distratte da un forte rumore, qualcuno aveva appena aperto la porta della camera di Alexandra con forza. Mi alzai appena e vidi in faccia chi aveva commesso l’atto. Un giovane dal camice bianco era chino sulla mia migliore amica, i capelli biondi erano spettinati e leggermente bagnati, gli occhi socchiusi protesi verso di lei, il naso fine, la bocca semiaperta come se le stesse parlando, il mento ben marcato e le dita affusolate che le toccavano il viso pallido e smagrito.
La donna che fino a quel momento era rimasta affianco a me, si raddrizzò e a grandi passi si diresse verso l’uomo.
-Maximine, Maximine aspetta… dobbiamo vedere se riprendere conoscenza!- la voce calda della donna riempì la stanza, ma non appena entrò nella camera, smisi di capire le loro parole. Attenta a ogni minimo gesto, notai che ora il ragazzo dai capelli biondi mi stava guardando con occhi talmente seri da penetrarmi fino nelle viscere. Avevo già visto quello sguardo, lo avevo più volte provato sulla mia pelle, quello era odio, accanimento per una situazione che non riesci a controllare.
La donna gli sussurrò qualcosa e lui la dileguò con un veloce gesto del capo.
Con foga, il giovane uscì dalla camera dov’era distesa Alexandra e si avvicinò a me.
Furono attimi in cui sarei voluta scappare o sprofondare. C’era qualcosa in lui che mi faceva paura e ce l’avevo con me stessa perché avrei dovuto prevedere ciò che le stava succedendo.
-Sei arrivata insieme a Lise giusto?- senza neanche presentarsi, andò dritto al sodo.
-Lei si chiama Alexandra- lo corressi.

[mks_pullquote align=”left” width=”250″ size=”14″ bg_color=”#ff0000″ txt_color=”#ffffff”]Furono attimi in cui sarei voluta scappare o sprofondare. C’era qualcosa in lui che mi faceva paura e ce l’avevo con me stessa perché avrei dovuto prevedere ciò che le stava succedendo. [/mks_pullquote]
Lui sbuffò e si passò una mano tra i capelli, alzandoli lievemente al passaggio delle dita lunghe e affusolate – Usa ancora quell’assurdo nome?- chiese, aguzzando ancora di più l’impronta marcata dei suoi lineamenti duri e scolpiti.
-Credo che stiamo parlando di due persone diverse- lo fronteggiai decisa, sorprendendolo.
-Alexandra è solo uno stupido nome d’arte che Lise usava sin da quando era bambina. Io sono suo fratello, so di cosa parlo!- taglienti come un rasoio, quelle parole diventarono il mio incubo e ben presto la terra mi mancò sotto i piedi.
-Non è possibile- farfugliai, in un solo, misero istante, avevo perso la persona che mi aveva sostenuto in tutto questo periodo, la mia ancora di salvezza che avevo reso il mondo un po’ meno schifoso e competitivo.
Senza curarmi di lui, i miei piedi mi portarono ancora una volta davanti al vetro spesso e freddo, davanti a quel corpo che non aveva più un nome, almeno non quello che avevo conosciuto io.
Risfiorai i suoi bordi, come se potessi toccare la ragazza per davvero, quello che provai fu freddo, grandi brividi percorrevano l’interno del mio petto.
-Alexandra?- fu un flebile suono quello che uscì dalla mia bocca così breve e soffuso da far dimenticare anche a me stessa di averlo pronunciato.
Quel corpo ora non apparteneva alla mia migliore amica ma ad una persona che non conoscevo, che non si era fidata a tal punto da rivelarmi il suo vero nome. Avrei voluto girarmi e dire al ragazzo “maledetto!”.
Avrei voluto prenderlo per il camice e intimarlo di dirmi che cosa stava succedendo.
E infine avrei voluto non credere alla verità. La donna dai capelli a ricci tornò e prese in mano la situazione.
-Signorina, sta meglio?- un sorriso rivolto verso di me non cambiò la situazione.
-Lascia stare, sono tutte uguali, la danza le rende dei mostri!- sputò disgustato il giovane dottore, prendendosi un’occhiataccia dalla donna. [mks_pullquote align=”right” width=”250″ size=”14″ bg_color=”#ff0000″ txt_color=”#ffffff”]E infine avrei voluto non credere alla verità. [/mks_pullquote]
Strinsi i denti e buttai giù il boccone amaro – e i dottori non dovrebbero dare spiegazioni? Come mai Alexandra si trova li dentro?- forza dell’abitudine, avevo sbagliato il nome. Il sangue mi stava scorrendo nelle vene facendomi venire caldo.
Non avevo paura di lui, avevo sempre tirato fuori gli attributi, in quel mondo e soprattutto nel mio, non c’era posto per i vigliacchi.
-Sei pallida, denutrita, non dovresti scaldarti tanto o rischi di svenire. Per quanto riguarda Lise…- marcò il nome come se volesse inciderlo a fuoco sulla mia pelle -…starà bene lontano da tutto questo- sbatté le palpebre e risoluto se ne andò a grandi passi, lasciandomi inerme e con tutta una vita infranta.
Strinsi i pugni, mi voltai e cominciai a correre senza mai voltarmi.
Fuori dall’ospedale e ora dentro di nuovo nell’accademia. La porta blindata si aprì con un cigolio e subito l’aria cambiò e potei finalmente respirare a pieni polmoni.
Perché nonostante tutto quello era il mio rifugio.
Le lezioni sarebbero cominciate tra qualche ora ed io avevo una folle idea per la mente.
Era sempre stato così, avevo iniziato a ballare quando i miei genitori avevano divorziato, mi ero creata un luogo in cui rifugiarmi in quei passi carichi di sofferenza. E ora ero di nuovo appesa ad un filo, i miei piedi stavano camminando su una corda a tre metri di altezza, sotto c’era soltanto il vuoto.
In silenzio aprii la porta della mia stanza e presi le punte di color rosa pallido, stinte e consumate. Un groppo in gola mi colpì quando fissai il letto vuoto sulla sinistra, un piccolo oggetto a forma quadrata attirò la mia attenzione. C’era un cd sul letto della mia migliore amica, era probabilmente la melodia che stava ascoltando prima che tutto questo succedesse, prima che scoprissi che anche lei mi aveva mentito, d’altronde lo facevano tutti. Senza pensarci due volte lo presi e mi diressi verso la sala azzurra. Era la sala a cui tutte le ragazze aspiravano, interamente composta parquet e decorata con un pianoforte di color nero lucido disposto a lato della stanza.
Era proibito andarci, soprattutto se non autorizzati; ma non m’importava, avevo voglia di ballare, di sfogare ogni mia parte del corpo.
Per fortuna la stanza era insonorizzata e potevo alzare la musica fino a sentirla scorrere al posto del sangue. Tolsi il cd dalla custodia e lo inserii nello stereo.
E poi tutto accadde velocemente, al centro della sala le prime note e le parole iniziali mi avvolsero candidamente.
Una voce maschile rompeva il silenzio armonioso creato dalla melodia. Le mani avevano cominciato a muoversi, il mio palmo destro sfiorava la pelle del braccio sinistro, un tocco familiare, un gesto lontano nel tempo.
Mi inarcai, andando sulle punte, spinta dall’istinto di essere libera. E poi balzai in aria, staccando i piedi da terra, la voce ripeté la parola gravità ed io la sentivo davvero, l’aria mi sfiorava, mi sussurrava all’orecchio. Le punte toccavano di nuovo terra, compii una piroette e lasciai andare la schiena chiudendo e aprendo il busto.
L’uomo cantava e il cuore si spaccava, la punta si piegava, i muscoli si contraevano e il mio corpo tremava. La melodia finì, il sudore colò bagnando la mia pelle, ero esausta.
Crollai a terra e mi chiusi a riccio, mentre di fronte a me lo specchio rifletté un’immagine chiara, una bambina stava danzando, portava alla vita il suo primo tutù, ballava come se non le importasse del giudizio della gente, ma poi s’inciampò e cadde, una piccola lacrima le solcò il suo faccino pulito, ma era una lacrima diversa da quella che ora stava riempiendo il mio viso.
Una consapevolezza sì insinuò in me: quella bambina ero io.
Ora cos’era cambiato?

** Il riferimento a persone o cose è puramente casuale.

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