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Le frontiere dell’antiaging tra geni, microbiota e cibi intelligenti

C’è un momento in cui iniziamo a percepire l’invecchiamento non più come un’idea astratta, ma come qualcosa che ci riguarda da vicino: qualche linea in più allo specchio, la stanchezza che arriva prima, l’energia che non è più la stessa. Eppure, l’invecchiamento non è solo una questione estetica. È un processo biologico complesso, che coinvolge ogni cellula del nostro corpo e che può essere influenzato da come viviamo.

Oggi la scienza ci dice che invecchiare bene o meglio, invecchiare lenti, si può. Non si tratta di fermare il tempo, ma di rallentarlo nel modo giusto, agendo su quei meccanismi che, giorno dopo giorno, incidono sul nostro benessere e sulla nostra longevità.

Al centro di questo approccio ci sono lo stile di vita, la gestione dello stress, il sonno… e soprattutto l’alimentazione. Quello che mangiamo non è solo carburante: è un messaggio che inviamo al nostro corpo. E questo messaggio può attivare o spegnere i geni legati all’infiammazione, alla produzione di energia, alla capacità del nostro organismo di difendersi e rigenerarsi.

Proprio per questo si parla sempre di più di “cibi intelligenti”, ovvero alimenti che aiutano le nostre cellule a lavorare meglio, che nutrono la flora intestinale buona, che combattono lo stress ossidativo (una delle principali cause dell’invecchiamento cellulare). In pratica, scelte quotidiane che diventano vere e proprie strategie di prevenzione.

E la cosa più interessante è che molto si può fare già ora, prima ancora di sottoporsi a test o analisi. Scegliere cibi semplici, freschi, ricchi di micronutrienti e poveri di zuccheri e additivi può già migliorare il nostro “biologico” interno. È un primo passo per rallentare davvero il tempo.

Ma c’è anche una frontiera più evoluta, ed è quella della nutrizione personalizzata. Qui entrano in gioco la genetica, il microbiota, l’analisi ematica e tossicologica. È il mondo della prevenzione scientifica, dove ogni consiglio alimentare non è generico, ma tagliato su misura come un abito di alta sartoria.

Per capire meglio come funziona e quali sono i vantaggi concreti, abbiamo rivolto alcune domande al Dott. Marco Zanetti, nutrizionista, diverse pubblicazioni sull’antiaging e ideatore del programma Longevity.

Dott. Marco Zanetti come funziona la nutrizione personalizzata e perché è così importante per contrastare l’invecchiamento?

La nutrizione personalizzata parte da una premessa fondamentale: ognuno di noi è unico. Gli stessi alimenti, in persone diverse, possono avere effetti molto differenti. C’è chi metabolizza bene i grassi, chi ha una predisposizione genetica all’infiammazione, chi tollera il glutine senza problemi e chi, invece, ne ricava un carico infiammatorio nascosto.

Per questo, oggi, non parliamo più di “dieta perfetta” in senso assoluto, ma di una strategia nutrizionale costruita su misura. Il mio approccio inizia con una raccolta dettagliata della storia clinica e dello stile di vita della persona. Poi, ci avvaliamo di strumenti avanzati come i Test genetici, l’Analisi del microbiota intestinale, gli Esami ematici specifici e le Valutazioni tossicologiche, per individuare l’accumulo di metalli pesanti o sostanze interferenti che possono alterare le funzioni cellulari e accelerare l’invecchiamento.

Una volta ottenuti questi dati, elaboro un piano alimentare altamente personalizzato, che non è rigido, ma dinamico: tiene conto delle abitudini, delle preferenze, del contesto di vita e viene aggiornato nel tempo.

L’obiettivo è duplice: ridurre lo stato infiammatorio cronico di basso grado, che è alla base dell’invecchiamento precoce, e ottimizzare le funzioni cellulari, agendo sul metabolismo, sulla produzione di energia e sulla rigenerazione dei tessuti.

Con la nutrizione personalizzata possiamo letteralmente dialogare con i geni, scegliendo alimenti che li “accendano” o li “spengano” in modo favorevole. È un’arma potente, non invasiva, e oggi più accessibile che mai. Per questo credo fermamente che la prevenzione profonda passi dalla tavola, ma con consapevolezza e metodo”.

Quali sono i test che aiutano a capire come reagisce il nostro corpo agli alimenti?

Oggi abbiamo a disposizione una vera e propria “cassetta degli attrezzi” scientifica per comprendere come il nostro corpo interagisce con il cibo. Tra i test più utili ci sono, innanzitutto, i test genetici, come ho già risposto, che analizzano varianti specifiche del nostro DNA. Questi ci permettono di capire se siamo predisposti, ad esempio, a metabolizzare male i grassi saturi o ad accumulare più facilmente il colesterolo, se tolleriamo il glutine, come reagiamo al consumo di zuccheri o se la caffeina ci è utile o dannosa.

Ma la vera forza di questi test è che non si limitano a dirci cosa evitare; ci indicano quali alimenti sono in grado di attivare risposte benefiche, accendendo i cosiddetti “geni della longevità”, legati alla produzione di antiossidanti endogeni, alla capacità di riparare i danni cellulari e di controllare l’infiammazione. Al tempo stesso, ci aiutano a disinnescare i geni “pro-infiammatori”, che accelerano l’invecchiamento e favoriscono patologie croniche.

Accanto ai test genetici, un altro strumento fondamentale è l’analisi del microbiota intestinale. Il nostro intestino ospita trilioni di batteri, e il loro equilibrio – o squilibrio – ha un impatto diretto sulla digestione, sull’assorbimento dei nutrienti, sul sistema immunitario e perfino sull’umore. Attraverso un semplice campione, possiamo valutare la presenza di disbiosi, fermentazioni anomale, carenze di ceppi protettivi o eccessi di batteri pro-infiammatori.

Questo ci permette di adattare la dieta per riequilibrare la flora, con effetti positivi non solo sull’intestino, ma su tutto l’organismo. Infine, ci sono esami del sangue mirati, che includono la valutazione dello stato infiammatorio (PCR, omocisteina, interleuchine), dei livelli di ossidazione, dello stress mitocondriale, del metabolismo insulinico e lipidico. Tutti questi dati ci aiutano a comporre un profilo biochimico completo, che rende la nutrizione non più un elenco di regole generiche, ma una terapia nutrizionale di precisione. In sintesi, passiamo da una visione quantitativa – “quante calorie mangio?” – a una visione qualitativa e funzionale:“Come reagisce il mio corpo a ciò che mangio?. È questo il vero cambio di paradigma”.

In che modo il microbiota intestinale influenza il processo di invecchiamento e cosa possiamo fare per migliorarlo?

Il microbiota intestinale – cioè l’insieme di batteri, virus e microrganismi che vivono nel nostro intestino – è oggi considerato un vero e proprio “organo” metabolico. La sua composizione ha effetti diretti non solo sulla digestione, ma anche sul sistema immunitario, sul metabolismo, sull’infiammazione sistemica e perfino sul funzionamento del cervello.

Un microbiota in equilibrio, ricco di ceppi benefici come Lactobacillus e Bifidobacterium, è in grado di produrre vitamine del gruppo B, vitamina K, acidi grassi a catena corta (come il butirrato) che nutrono le cellule del colon e rinforzano la barriera intestinale. Questo tipo di ambiente intestinale promuove un invecchiamento sano, perché riduce lo stato infiammatorio cronico e migliora la comunicazione tra intestino e cervello.

Al contrario, una disbiosi – cioè uno squilibrio della flora intestinale – può portare a fermentazioni anomale, gonfiore, malassorbimenti, maggiore permeabilità intestinale (leaky gut), con il rilascio di tossine nel sangue e l’attivazione continua del sistema immunitario. Questo contribuisce a un invecchiamento precoce, più silenzioso ma progressivo, legato a infiammazione cronica, stanchezza, aumento di peso e declino cognitivo. Per valutare la situazione, eseguiamo una mappatura completa del microbiota, tramite test specifici su campione fecale. Una volta ottenuto il profilo, interveniamo con una dieta mirata, l’integrazione di probiotici e prebiotici personalizzati, e indicazioni sullo stile di vita, che includono attività fisica regolare, sonno di qualità e gestione dello stress.

L’obiettivo è ripristinare un ecosistema intestinale forte, vario e resiliente, in grado di sostenere l’intero organismo nel tempo. In questo senso, il microbiota non è solo un indicatore di salute: è uno strumento strategico per chi vuole vivere più a lungo e meglio”.

Esistono alimenti che possiamo definire “intelligenti” perché aiutano a rallentare l’invecchiamento?

Assolutamente sì. Parliamo di “cibi intelligenti” perché non si limitano a nutrirci: interagiscono con il nostro metabolismo, parlano ai nostri geni, modulano l’infiammazione e supportano le difese cellulari. Sono veri e propri alleati antiaging, ma solo se inseriti nel contesto giusto. Tra questi troviamo innanzitutto gli alimenti ricchi di polifenoli, come frutti di bosco, melograno, tè verde, curcuma, olio extravergine di oliva, cacao amaro. I polifenoli sono potenti antiossidanti naturali: aiutano a neutralizzare i radicali liberi e a rallentare i processi degenerativi legati all’età. Poi ci sono gli alimenti ricchi di fibre prebiotiche, come porri, cipolla, aglio, topinambur, legumi e avena. Questi non nutrono noi direttamente, ma il nostro microbiota: favoriscono la crescita di batteri buoni, migliorano la digestione e riducono l’infiammazione sistemica, una delle principali cause dell’invecchiamento precoce. Non mancano i grassi buoni, come gli omega-3 presenti in pesce azzurro, semi di lino, noci e alghe: modulano l’infiammazione, proteggono il cuore e il cervello, e sono cruciali nella comunicazione cellulare. Infine, meritano attenzione i cibi che attivano la “restrizione calorica mimata”, come i funghi, le verdure a foglia verde, il broccolo, il cavolo e alcuni legumi. Questi alimenti contengono molecole (come la spermidina o la quercetina) che simulano i benefici del digiuno intermittente, attivando geni della longevità come le sirtuine e stimolando l’autofagia, ovvero il processo con cui le cellule eliminano i “rifiuti” interni. Nel mio programma Longevity, questi alimenti vengono selezionati e dosati in modo specifico sulla base del profilo genetico e metabolico della persona. Questo perché un cibo che è “intelligente” per uno, può essere meno utile – o addirittura pro-infiammatorio – per un altro. Anche in questo caso, la chiave è la personalizzazione. Mangiare in modo intelligente oggi non significa solo scegliere cibi sani, ma scegliere quelli giusti per il nostro corpo. È qui che scienza e nutrizione si incontrano per rallentare davvero il tempo”.

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