
SINOSSI
Ci sono storie che si urlano al mondo e storie che si soffocano nel silenzio.
La Voce Spezzata appartiene a quelle che nessuno vuole ascoltare. È la storia di un bambino che ha imparato troppo presto che l’amore può fare male, che la casa può essere una prigione, che le persone a cui tieni di più possono trasformarsi nei tuoi carnefici.
La violenza domestica non è solo fatta di lividi, di ossa rotte, di urla nel cuore della notte. È un veleno che si insinua nella pelle, che ti cambia, che ti insegna a non fidarti, a non parlare, a non sperare. Luca è solo un bambino, ma sa già cosa significa avere paura di tornare a casa, trattenere il respiro a ogni porta che si apre, raccontare bugie per giustificare ferite che non dovrebbero esserci.
Attorno a lui, il mondo gira come se nulla stesse accadendo. I vicini abbassano lo sguardo, i parenti non fanno domande, la scuola preferisce credere alle scuse. E così il dolore si radica, cresce, si trasforma in un silenzio assordante. Perché la violenza non è solo quella di chi colpisce, ma anche quella di chi vede e non interviene, di chi sa e sceglie di tacere.
Questa non è una storia di speranza. Non offre vie d’uscita facili, né un finale che possa alleggerire il cuore. È un viaggio dentro l’incubo di chi vive prigioniero di una casa che non è più casa, di una famiglia che non protegge, di un dolore che non finisce nemmeno quando tutto sembra finito.
Ma questa storia va raccontata. Perché il silenzio uccide più di qualsiasi urlo. Perché dietro troppe porte chiuse ci sono bambini che aspettano di essere salvati. E perché, forse, leggendo queste pagine, qualcuno avrà il coraggio di aprire gli occhi.
BIOGRAFIA DELL’ AUTORE
Mi chiamo Mirko Verrini, sono nato a Tradate, in provincia di Varese, e oggi vivo a Matera. Qui lavoro come operatore alberghiero, ma la mia più grande passione resta la scrittura, che mi accompagna fin da quando ero ragazzo. Amavo inventare e raccontare brevi storie, lasciandomi guidare dall’immaginazione e dal bisogno di esprimermi.
Nel tempo, ho scoperto che il mio cuore batte soprattutto per la poesia. Mi emoziona scriverla, leggerla, ascoltarla. La poesia per me è un rifugio, una forza, un modo per dare voce a ciò che spesso resta nascosto dentro di noi.
Attraverso le mie parole cerco di raccontare il lato più intimo e vulnerabile dell’animo umano. Nei miei scritti affronto temi delicati e profondi, come la violenza domestica, gli abusi sui minori, la solitudine, la mancanza di ascolto e il bisogno d’amore. Scrivo per chi non riesce a parlare, per chi si sente invisibile, per chi ha bisogno di sentirsi compreso anche solo per un istante.
La scrittura è, per me, più di una passione: è una missione, un modo di restare fedele a me stesso e dare valore alle emozioni autentiche.
INTERVISTA ALL’ AUTORE
Com’è nato questo libro?
Questo libro è nato da un’urgenza interiore, da un bisogno profondo di raccontare ciò che spesso viene taciuto. Nasce dal silenzio, ma anche dal desiderio di romperlo. Ho sentito la necessità di dare voce a chi non riesce a parlare, a chi vive un dolore invisibile, ma costante.
Scrivere questa storia è stato come attraversare un corridoio buio, passo dopo passo, con la consapevolezza che alla fine c’è sempre una luce, anche se fioca. È un libro che non cerca il sensazionalismo, ma la verità emotiva. E quella verità, anche quando fa male, resta la cosa più necessaria.
È una storia che ha qualcosa di vero o prende spunto da un evento o da una persona conosciuta?
Non è una biografia né il racconto di una singola vicenda reale. Tuttavia, dentro la storia scorre molta verità. Ogni pagina contiene frammenti di esperienze ascoltate, di volti incontrati, di emozioni condivise. È come se tante storie vere si fossero unite, mescolando dolore, paura, ma anche speranza. Ho voluto raccogliere e trasformare quelle voci in una sola narrazione, perché credo che la letteratura possa farsi ponte tra chi ha vissuto il trauma e chi ancora non riesce a nominarlo.
Com’è nata la tua passione per la scrittura?
La scrittura è sempre stata parte di me. Da bambino era il mio rifugio, il modo più naturale per esprimere ciò che non riuscivo a dire ad alta voce. Col tempo è diventata compagna, strumento di riflessione e poi di denuncia. Scrivere, per me, significa anche dare ordine al caos. È un modo per comprendere, per guarire, ma anche per restituire qualcosa agli altri. La scrittura mi ha insegnato la pazienza dell’ascolto e la potenza della parola, soprattutto quando parla di verità scomode.
Le violenze sono all’ordine del giorno, un male mai estirpato, anzi in aumento. Secondo te, come mai?
Credo che la radice sia nella mancanza di ascolto e di educazione emotiva. Viviamo in una società che corre, che osserva ma non guarda, che sente ma non ascolta. La violenza, fisica o psicologica, nasce spesso dal vuoto, dalla mancanza di empatia e di consapevolezza. Non c’è abbastanza spazio per l’educazione sentimentale, per insegnare ai ragazzi il valore del rispetto, dei confini, dell’altro. E poi c’è l’indifferenza, che è una forma di violenza collettiva. Finché non avremo il coraggio di guardare il male negli occhi, continueremo a conviverci.
Cosa si potrebbe fare per contrastarle secondo te?
Bisogna partire dalla cultura. Non basta la repressione, serve la prevenzione. L’educazione al rispetto e alla parità dovrebbe essere un pilastro della scuola e della famiglia. Ma servono anche strutture che funzionino, persone formate, centri di ascolto veri, non solo sulla carta. E poi serve il coraggio di parlare, di non voltarsi dall’altra parte. Perché ogni silenzio diventa complicità. La battaglia contro la violenza è una responsabilità collettiva, non individuale.
La scrittura come cura e come punto di forza per trattare argomenti anche scomodi. Tu cosa ne pensi?
Credo fermamente che la scrittura possa essere terapeutica. Quando si scrive, si entra in contatto con parti di sé che spesso si tengono nascoste. Scrivere di dolore, di abusi, di violenza, non significa solo raccontare. Significa elaborare, trasformare, trovare un senso anche nell’insensato. Nel mio caso, scrivere è stato un modo per mettere ordine tra emozioni troppo grandi, ma anche per offrire a chi legge un’occasione di riconoscimento. A volte, vedere il proprio dolore raccontato da altri è il primo passo per iniziare a guarire.
La famiglia e la scuola sono punti di riferimento di educazione, però in alcuni casi non sono un punto di rifugio. Secondo te come queste due istituzioni così importanti possono tornare ad esserlo?
Famiglia e scuola dovrebbero essere i primi baluardi contro la solitudine e la violenza. Ma per esserlo, devono imparare ad ascoltare davvero. La famiglia deve tornare ad essere uno spazio emotivo, non solo materiale. Un luogo dove si può parlare, dove l’affetto non giudica ma accoglie. La scuola, invece, deve essere più attenta ai segnali, alle sfumature. Gli insegnanti spesso sono i primi a poter cogliere un disagio, ma non sempre hanno gli strumenti per farlo. Serve formazione, ma anche una rete di supporto che funzioni davvero. Solo così questi due mondi potranno tornare a essere rifugio e protezione.
Progetti futuri?
Sto lavorando a un progetto simile, ma che affronta un tema purtroppo sempre più attuale e doloroso: la violenza sulle donne. È un argomento che, purtroppo, sentiamo quasi ogni giorno nei notiziari, ma che spesso resta raccontato in modo superficiale. Il mio intento è quello di dare voce, ancora una volta, a chi non riesce più a farsi sentire. È un progetto lungo, complesso, che richiederà tempo e cura, ma le basi sono già costruite. Ci sto lavorando con grande attenzione, perché credo che la letteratura possa e debba contribuire alla consapevolezza collettiva.
Dove troviamo il libro?
Il libro è disponibile online sulle principali librerie digitali, tra cui Feltrinelli e Libraccio. È possibile ordinarlo anche attraverso altri store o richiederlo direttamente nei punti vendita aderenti. L’importante è che arrivi a chi ha bisogno di leggerlo, perché ogni lettura può essere un piccolo passo verso la comprensione di ciò che troppo spesso resta nascosto.