Salsamenteria geopolitica: Meloni e Schlein, tra eredità missine e memorie comuniste

Dall’atlantismo del MSI all’eurocomunismo del PCI, il dialogo (im)possibile tra due eredità politiche che guardano ancora a Washington.

Mentre Meloni rivendica la svolta atlantica del MSI e Schlein ricorda il dialogo USA-PCI, la politica italiana continua a fare i conti con il suo passato. Ma il bancone della salsamenteria geopolitica è sempre lo stesso.

La politica italiana è come una salsamenteria dove i salumi hanno il sapore della storia. Dietro il bancone, tra prosciutti, salami e pancette, si consuma un dialogo surreale tra due eredità politiche apparentemente inconciliabili e almeno in parte ancora soggette a lasciti del passato: quella di Giorgia Meloni, erede del Movimento Sociale Italiano (MSI), e quella di Elly Schlein, erede del Partito Comunista Italiano (PCI). Due storie diverse, due visioni opposte, ma con un punto in comune: lo sguardo rivolto verso Washington.

Meloni eredita una tradizione politica che, dopo un iniziale tentativo di trovare una “terza via” tra capitalismo e comunismo, scelse definitivamente il campo atlantico. La svolta arrivò nel 1956, con il quinto congresso del MSI e l’elezione di Arturo Michelini come segretario. Da quel momento, l’anticomunismo divenne il metro di giudizio di qualsiasi evento internazionale, e il partito si avviò verso un’integrazione nel sistema politico italiano all’insegna della fedeltà agli Stati Uniti. Oggi, Meloni sembra ripercorrere quelle orme: mentre l’Europa trema per le minacce di Trump, la premier corre da sola all’insediamento del presidente americano, come se stesse acquistando un salume pregiato da un macellaio esigente. «Mi metto nei panni di Trump», dice Nicola Procaccini, quasi a voler giustificare ogni eccesso.

Schlein, dal canto suo, eredita una tradizione diversa ma ugualmente complessa. Durante la Guerra Fredda, il PCI fu il nemico numero uno degli Stati Uniti in Italia. Ma con l’avvio della Distensione e l’avvicinamento dei comunisti al governo, Washington iniziò a ripensare la sua strategia, aprendo un dialogo con i dirigenti del PCI. Schlein, oggi, sembra voler riprendere quel filo: «Se si vuole fare l’interesse dell’Italia, oggi più che mai bisogna puntare all’unità europea», dice, criticando implicitamente Meloni per il suo atteggiamento verso Trump. «Tra essere i primi della classe e essere funzionali alla disgregazione dell’Europa il passo è breve», aggiunge, senza fare nomi ma lasciando poco spazio ai dubbi.

Eppure, in questa salsamenteria geopolitica, destra e sinistra sembrano condannate a scegliere dagli stessi banconi. Perché, in fondo, l’atlantismo è come un salume: ha un sapore forte, deciso, che non si dimentica facilmente. E l’Italia, da almeno 80 anni, non riesce a farne a meno.

Ma cosa si nasconde dietro questa passione per i salumi transatlantici? Per Meloni, è forse una questione di opportunismo, un modo per ritagliarsi un ruolo di primo piano sulla scena internazionale. Per Schlein, è più una questione di tradizione, un retaggio della Guerra Fredda e della cultura democratica. Ma, in entrambi i casi, il risultato è lo stesso: un’Italia che, nel tentativo di accreditarsi come cliente privilegiata di Washington, rischia di perdere la sua autonomia strategica e la sua credibilità internazionale.

E così, mentre l’Europa si interroga sul futuro delle sue relazioni con gli Stati Uniti, l’Italia continua a riempire il carrello della spesa con i suoi salumi preferiti: prosciutti di pragmatismo, salami di opportunismo, pancette di fedeltà. Una salsamenteria geopolitica dove ogni scelta ha un sapore, un peso, un prezzo.

Ma, alla fine, a chi giova questa dieta transatlantica? All’Italia, che rischia di ritrovarsi sempre più isolata in Europa? O agli Stati Uniti, che potrebbero interpretare questa dipendenza come un segno di debolezza, piuttosto che di lealtà?

Forse, è tempo di variare il menu, di assaggiare nuovi sapori, di guardare oltre il bancone americano con occhi più critici. Perché, in fondo, anche nella salsamenteria geopolitica, la moderazione è sempre la scelta migliore. E un po’ di verdura, ogni tanto, non farebbe male.

Intanto, nella bottega, il dialogo continua. Meloni affetta il suo prosciutto, Schlein assaggia il suo salame, e l’Europa, fuori dalla porta, aspetta che qualcuno decida di cambiare ricetta.

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